“Bambina sbranata dai cani”, “Donne sequestrate dai loro cani impazziti”, “Lite tra cani, padroni feriti”. La cronaca ciclicamente ci propone storie di questo tipo. Storie apparentemente uguali perché il protagonista è un cane e la vittima un uomo, ma con trame diverse, perché i motivi che possono spingere un cane ad aggredire possono essere molteplici. Ed è anche su questo che ci si dovrebbe interrogare. Non per trovare un capro espiatorio, per generalizzare, ma per ragionare affinché le tragedie non si ripetano.
Ne abbiamo parlato con Luca Spennacchio, educatore cinofilo che opera anche nei canili e autore di “Canile 3.0”, quindi a contatto ogni giorno con cani abbandonati o sequestrati, comunque vittime dell’ignoranza dei padroni.
“Partiamo con una dovuta precisazione: questo è un argomento estremamente complesso, e quando se ne parla sull’onda di un fatto drammatico, come l’uccisione di un bambino, diventa difficile da affrontare. Perché primo non si sa bene la dinamica dei fatti e i retroscena… Volendo generalizzare e tralasciando le specifiche dinamiche di gestione dei cani, possiamo allora discutere di prevenzione. E in questo caso le strade da intraprendere sono diverse, ma bisogna fare delle scelte ponderate. Cosa assai difficile in un paese che scopre l’abusivismo edilizio solo dopo un terremoto, che parla di cementificazione dopo le alluvioni. Se quindi pensiamo che anche la soluzione agli attacchi dei cani sia a portata di mano e di facile e immediata applicabilità solo dopo casi eclatanti, si parte con il piede sbagliato”.
Il discorso è articolato e va affrontato su più piani. “Un percorso, qualunque esso sia, va intrapreso al più presto, cominciando magari dall’informazione e dalla sensibilizzazione dei cittadini. Ci sono troppe persone che scelgono il cane, non in base alla compatibilità dei loro stili di vita con le caratteristiche di ogni razza, ma in base all’aspetto e, nel caso dei Pitbull, in base all’immagine che il cane può dare di loro. Volendo anche partire da un fatto di cronaca per sensibilizzare le persone, sono convinto che i padroni di cani si sentano esclusi dalla questione e fortunati perché il loro cane non ha – ancora – aggredito nessuno. Le persone che hanno un cane, quando sentono “cane uccide bambina”, cosa pensano? Che forse sarebbe meglio fare un corso e rivolgersi a degli educatori, o che i padroni dei cani assassini sono persone che li tenevano male? Agli stessi proprietari che stanno ascoltando la notizia al telegiornale, è suonata una sveglia, si rendono conto che dovrebbero informarsi e imparare a conoscere la razza del loro cane? Non credo sia così in partenza e se anche miracolosamente decidessero di rivolgersi a un educatore per una consulenza, da chi andrebbero? Dal veterinario? Chi se ne occupa? Non esiste una figura cui fare riferimento o da interrogare in questi casi. E poi non esistono corsi gratuiti o convenzionati. Sono sicuro che la maggior parte dei proprietari non si senta chiamato in causa e quindi si dovrebbe intervenire con misure coercitive. Perché l’Italia è sempre il paese che ha dovuto fare una legge per l’utilizzo dei caschi e le cinture di sicurezza: ha dovuto cioè obbligare le persone a usare un dispositivo che gli salva la vita”.
In questo caso il ventaglio di possibilità è ampio e si potrebbe cercare la soluzione all’estero, dove si è già intervenuti. “Le scelte che hanno fatto altri paesi, per tutelare i cittadini dalla loro stessa ignoranza, andrebbero a questo punto prese in considerazione. Mettiamo che si decida di rendere obbligatorio un patentino per i possessori di cani. Bellissima iniziativa, ma chi lo rilascerebbe? Come sarebbe strutturato il corso? Sempre all’italiana? In altri paesi ha funzionato, ma c’è alla base una diversa cultura del cane. Le persone che ne prendono uno, a prescindere dalla razza, sono consapevoli della scelta che fanno e sono disposte ad assumersi le responsabilità che derivano dall’essere proprietario di un cane. In Italia prima si compra un cane, perché piace una razza senza saperne nulla delle sue caratteristiche, poi ci si lamenta che il cane tira al guinzaglio, abbaia agli altri cani, morde, senza aver mai fatto un corso per imparare che queste problematiche sono prevedibili e arginabili. E gli educatori cinofili ci sono, ce ne sono forse più che cani. All’estero però si capisce che i padroni sono consapevoli anche solo da come conducono il cane. Si vede che ci hanno lavorato”.
In altri paesi hanno istituto dei corsi riservati ai possessori di cani “potenzialmente pericolosi”. “Anche questa potrebbe essere una strada. Se proprio una persona volesse un Pitbull, per esempio, sarebbe tenuta a presentarsi davanti ad una commissione più volte nell’arco degli anni e dimostrare di essere in grado di gestire il cane, ma cosa succederebbe se dopo due anni non superassero l’esame? Il cane verrebbe sequestrato? Dovendo mettere al primo posto il benessere dell’animale mi sento di scartare questa ipotesi. Anche perché i cani finirebbero irrimediabilmente in canile”.
Così come se esistessero le Black List. “Si riempirebbero i canili e le difficoltà di gestione di queste razze, se cresciute senza criterio, sarebbero a carico delle strutture già oberate. Io faccio i conti sulla pelle dei cani e lavorando nei canili ne vedo un sacco: sono cani inadottabili, hanno evidenti problematiche con altri cani, quindi devono essere tenuti separati, ma dove li metto in un canile già sovraffollato? Gli operatori dei canili non sono formati e preparati per gestirli. In altri paesi ancora c’è l’obbligo di sterilizzazione per i cani potenzialmente pericolosi. Chi non sterilizza viene classificato come allevatore e deve pagare delle tasse specifiche. Potrebbe essere una soluzione, ma anche in questo caso non ne vedo facile applicabilità se consideriamo che c’è già l’obbligo di microchip ma i cani ancora senza sono troppi… Le leggi ci sono già ma non si fanno rispettare”.
La soluzione immediata quindi non c’è. Quelle percorribili possono essere molte. “Bisognerebbe fare una serie di riflessioni e iniziare un percorso, ma in Italia se ne parlerà ancora per qualche giorno e poi, fino al prossimo caso, nessuno farà nulla. Bisogna cominciare con lo smettere di essere ciechi e affrontare i problemi solo quando si presentano”.
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