Secondo una nuova ricerca americana, il comportamento così socievole dei cani potrebbe condividere una base genetica con una malattia umana, la sindrome di Williams.
C’è uno strano legame tra alcune qualità dei cani – in particolare amorevolezza, socievolezza e amichevolezza – e le stesse qualità degli esseri umani. In particolare, degli esseri umani colpiti da una sindrome genetica. Infatti, il comportamento socievole delle persone affette dalla sindrome di Williams, una malattia genetica rara, potrebbe avvicinarsi molto a quello canino.
A raccontarlo su Science Advances è stato un team di ricercatori dell’Università di Princeton (New Jersey), che ha appena scoperto come il comportamento spiccatamente amichevole di esseri umani e cani potrebbe essere il risultato di variazioni geniche comuni.
La sindrome di Williams, conosciuta anche come sindrome di Williams-Beuren, è causata da mutazioni in una specifica regione genomica, colpisce circa una persona su 20 mila ed è associata spesso a una serie di caratteristiche mentali e fisiche, come per l’appunto una personalità estroversa anche con gli estranei, problemi cardiaci, ritardo mentale e una notevole affinità per la musica.
Precedenti ricerche avevano già suggerito l’esistenza di un possibile legame tra i cani e la sindrome di Williams: nel 2010, esaminando il dna di 225 lupi e 912 cani, il biologo Bridgett von Holdt e il suo team di ricercatori dell’Università di Princeton, avevano suggerito che un gene, precisamente il Wbscr17, avesse giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione del cane. Questa regione del genoma, come avevano precisato i ricercatori, è molto simile nei cani e negli esseri umani e la versione umana di Wbscr17 si trova proprio vicino alla sequenza di dna che viene eliminata nelle persone affette dalla sindrome di Williams.
Nel nuovo studio, lo stesso team di ricercatori si è concentrato sulla regione vicina al gene Wbscr17. Per prima cosa, hanno osservato il comportamento amichevole di 18 cani e 10 lupi, misurando quanto tempo ogni cane e lupo è rimasto vicino (a una distanza massima di circa 1 metro) a una persona. Come avevano previsto, i lupi trascorrevano meno tempo, mentre i cani tendevano a non perdere d’occhio e a rimanere vicini a quella persona per più tempo.
Più precisamente, quando i ricercatori hanno analizzato il dna dei cani e dei lupi, le differenze comportamentali risultavano essere correlate alle variazioni di tre geni, ovvero il gene Wbscr17 e altri due geni GTF2I e GTF2IRD1. Due geni, questi, che erano già stati collegati al comportamento sociale dei topi e delle persone con la sindrome di Williams: nel 2009, infatti, alcuni ricercatori delll’Università di Stanford avevano scoperto che quando mancavano questi due geni, i topi erano insolitamente desiderosi di socializzare.
Per ognuno di questi tre geni, i ricercatori hanno osservato diverse varianti: alcune sono state trovate principalmente nei cani e lupi amichevoli, mentre altre più frequentemente negli animali meno socievoli. Questi tre geni sembrano svolgere un ruolo fondamentale nel controllo del comportamento sociale. Inoltre, analizzando questi tre geni in 201 cani di 13 razze, i ricercatori hanno osservato modelli simili di variazione genetica tra le razze tradizionalmente associate a un comportamento amichevole e le razze generalmente considerate più solitarie.
I risultati del nuovo studio suggeriscono, quindi, che i cani sono dotati di questa qualità comportamentale in parte per le modifiche dei geni equivalenti a quelli delle persone con sindrome di Williams. Tuttavia, sebbene sia ancora troppo presto per affermare che questi geni siano stati fondamentali nell’addomesticamento del cane, è possibile che abbiano svolto un ruolo fondamentale anche per molte altre specie. Il passo successivo, infatti, sarà quello di analizzare il genoma di altre specie di animali domestici, come i gatti, e vedere se gli stessi tre geni possono aver contribuito allo sviluppo di questo comportamento sociale.
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