Sono cani da pista educati all’arte del Mantrailing, in grado di fiutare un odore specifico a chilometri di distanza: vengono appositamente formati per individuare e seguire la scia olfattiva lasciata dalle persone, traccia che ci rende unici e irripetibili come un’impronta digitale.
La definizione di ‘cani molecolari’ non ha un fondamento scientifico, deriva da un’invenzione giornalistica che poi è rimasta nella consuetudine. Questi cagnoni dall’aspetto pacifico e fiero, con lo sguardo apparentemente malinconico, sono Cani di Sant’Uberto (Chien de Saint Hubert) detti anche Bloodhound, letteralmente ‘segugio da sangue’, una razza inventata nel ‘600 in Belgio e da sempre utilizzata per la ricerca su pista: sia per la caccia che per inseguire le tracce umane di schiavi che scappavano, evasori dalle carceri, fuggitivi dalla legge.
Abbiamo intervistato Paolo Cortelli Panini, tecnico del Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico, nonché responsabile nazionale veterinario dei cani del Soccorso Alpino e coordinatore cani molecolari, per capire come questi segugi dal fiuto eccezionale operino a sostegno delle attività di recupero e di ricerca.
Innanzitutto conosciamo meglio questi Sherlock Holmes dell’universo cinofilo, i segugi per eccellenza: “Sono cani che hanno una canna nasale più grande e un apparato olfattivo maggiore rispetto agli altri. Inoltre memorizzano un odore specifico per molto tempo. Sono in assoluto i migliori per il Mantrailing grazie anche alla loro conformazione fisica: quando si piegano per fiutare a terra l’occhio viene coperto dalla pelle che cade sopra, in questo modo il cane non vede nulla e non viene deconcentrato, inoltre le lunghe orecchie che strisciano per terra creano un effetto vortice verso il naso”.
“I Bloodhound operativi nel Corpo nazionale soccorso alpino e speleologico sono 12 (su un totale di 340 cani attivi sul territorio Italiano a servizio del Soccorso Alpino) provenienti da allevamenti del nord Europa, dalla Svizzera, dall’Italia, alcuni esemplari anche dall’America. Vengono adottati quando hanno 8 settimane di vita e educati da istruttori esperti: il Soccorso Alpino Italiano si avvale per questo dell’esperienza della National Bloodhound Association of Switzerland che, con il supporto della Virginia Bloodhound Search and Rescue Association si occupa dell’addestramento e della valutazione di questi segugi”.
“Il cane fin da cucciolo viene fatto abituare attraverso il gioco a cercare uomini tramite il loro odore: viene fatto passare sopra l’indumento di una persona che in quel momento si allontana e si nasconde. Il ritrovamento viene premiato con una ricompensa che scaturisce nel cane una gioia tale da voler ripetere l’esperienza al più presto”.
“Sono utilizzati principalmente per trovare persone disperse in terreni impervi, come gli escursionisti che non tornano alla macchina, i fungiatt… Si deve sempre partire da una pista (come la macchina per esempio) da cui il cane fiuta l’odore da seguire. Su circa 60-65 interventi all’anno c’è una percentuale del 70% di esiti positivi, che non significa necessariamente il ritrovamento da parte del cane della persona, ma un giusto indirizzamento delle ricerche che potrebbero altrimenti disperdersi a 360° senza una direzione precisa”.
“Il padrone del cane durante la sua vita è il tecnico del Soccorso Alpino a cui viene affidato: vive con lui e la sua famiglia, benché non sia di sua proprietà ma del Corpo Nazionale che ne dispone per le missioni e gli interventi. L’utilizzo dei cani molecolari è a totale discrezionalità del Presidente Nazionale”.
“Il cane termina la sua carriera professionale o per motivi di età o per motivi medici, ovvero quando il veterinario ritiene che per tutelare la sua salute debba smettere. Il cane e il suo benessere vengono sempre prima di tutto il resto”.
federica@vanitypets.it
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