Tra poco partirà per la Cina e tornerà con tre cani, salvati dal terribile festival di Yulin, che saranno accolti dalle loro nuove famiglie italiane. Abbiamo intervistato Davide Acito, l’attivista italiano che ha liberato centinaia di cani destinati alla ristorazione e che adesso punta ad una nuova fase del progetto.
Tutti lo conoscono e il recente servizio realizzato da Le Iene ha reso l’attività dell’Action Project Animal ancora più popolare. Tutto nasce dalla volontà di un ragazzo italiano, Davide Acito appunto, di mettere fine alle torture a cui sono sottoposti i cani in Cina, considerati una prelibatezza culinaria in alcuni villaggi nel Sud del paese.
Davide ha smosso mari e monti, ha speso tempo, denaro ed energie per fondare l’Island Dog Village E. F., una casa di accoglienza per i cani salvati, ma soprattutto un progetto culturale molto importante “che oggi posso considerare, non concluso, ma sicuramente in grado di andare avanti da solo, grazie ai molti attivisti, anche locali, che collaborano con noi”. Il centro costruito è super funzionale “abbiamo un ambulatorio veterinario, una zona di quarantena ed edifici climatizzati con uscita completamente libera nel giardino, e soprattutto un protocollo di azione che ci ha permesso di dimezzare le perdite tra i cani che salviamo”.
La maggior parte sono malati di cimurro o parvovirosi, virus ad alto rischio di contagio, difficili da debellare e che richiedono lunghi periodi di cure costose, “per rendere l’idea del lavoro fatto fino ad oggi, basti considerare che se all’inizio sopravvivevano solo il 50% dei cani, adesso ne muoiono in media il 10%”. Quest’anno, per esempio, sono stati liberati dalle slaughterhouse, ovvero i macelli improvvisati, circa 140 cani di cui la metà sono stati affidati ad altre associazioni che operano accanto a quella italiana di Davide, e i restanti sono all’Island Dog Village E.F..
“Il progetto però è molto più articolato e contemporaneamente al salvataggio, prevede che si lavori per generare un cambiamento culturale nella popolazione e favorire l’adozione dei cani”. E a quanto pare è più semplice liberarli e accudirli che non trovargli una famiglia. “Il servizio de Le Iene, tralasciando le polemiche, ci ha dato un sacco di visibilità e abbiamo ricevuto 600 email di richieste d’adozione dei cani. Eravamo felicissimi, ma alla fine solo 9 persone si sono dimostrate realmente in grado di poter accogliere i nostri cani. E non è perché avessimo preteso chissà quali requisiti: abbiamo chiesto un contributo economico per il trasporto in Italia”. Per un cane di “razza” si pagano migliaia di euro, ma chissà perché per un rescue non si è disposti a spendere nemmeno un centesimo, eppure sono soldi che servono per metterlo in salvo e regalargli un futuro. Anche le famiglie cinesi che adottano un cane di Yulin devono pagare una cifra che sul loro bilancio famigliare è abbastanza incisiva. “La nostra politica degli affidi in Cina prevede che si paghi una somma che corrisponde ai nostri 250 euro per avere un cane. Dopo sei mesi noi andiamo a controllare che l’animale sia tenuto bene e in salute, e se è tutto ok, ridiamo i soldi”. Un modo per responsabilizzare gli adottanti ed evitare decisioni superficiali e ripensamenti.
Ed è questa la nuova fase del progetto che adesso bisogna attivare: l’adozione. “I cani non possono rimanere nel rifugio, per ovvie ragioni, ma soprattutto perché ci serve spazio per accoglierne di altri“. Davide porterà in Italia, a giorni, i primi 3 cani che vivranno con le loro nuove famiglie, ma molti altri rimangono ancora da accasare, “ed è su questo che ci concentreremo nei prossimi mesi, insieme all’attivazione di progetti simili in altri Paesi che ancora fanno largo consumo di carne di cane. Ci sono regioni asiatiche in cui persistono tradizioni se possibile anche più brutali di Yulin“. Ve la raccontiamo per sommi capi: gli abitanti di alcuni villaggi pare siano ghiotti di una parte del corpo dei cani, a cui attribuiscono proprietà benefiche, che però deve essere prelevata dall’animale ancora in vita.
“C’è ancora molto da fare e non ci tiriamo indietro, come è stato tre anni fa con Yulin. Quello fu un periodo per me bruttissimo, perché la realtà che mi trovai davanti mi sconvolse e reagire a livello psicologico fù impegnativo. A ricordarmi che nulla è stato vano e che vale sempre la pena andare avanti oggi c’è Pippo, uno dei cani di Yulin che senza di me non sarebbe qui ma di cui oggi non potrei fare a meno”.
E c’è un’altra persona che va assolutamente citata e senza cui probabilmente non ci sarebbe mai stato un l’Island Dog Village E.F., ed è la stilista Elisabetta Franchi a cui è dedicato. Grande amante degli animali (e se guardate le sue Instagram stories ve ne renderete conto), la Franchi ha sposato fin da subito la causa di Davide Acito e ha contribuito in maniera considerevole alle attività dell’Action Project Animal. “Una persona fondamentale per il progetto, che lo ha supportato sicuramente a livello economico, ma anche emotivo: non c’è nulla che Elisabetta non possa fare quando si mette in testa una cosa”.
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