A due o quattro zampe poco importa, oggi è la festa del Santo protettore degli animali e in molti paesi vige ancora la tradizionale benedizione dei pelosi.
Sant’ Antonio Abate, detto anche sant’Antonio il Grande, sant’Antonio d’Egitto, sant’Antonio del Fuoco, sant’Antonio del Deserto e sant’Antonio l’Anacoreta fu un eremita egiziano, considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati.
E’ considerato anche il protettore degli animali domestici, tanto da essere solitamente raffigurato con accanto un maiale, con al collo una campanella. Il 17 gennaio tradizionalmente la Chiesa benedice gli animali e le stalle ponendoli sotto la protezione del Santo.
La tradizione di benedire gli animali però, non è legata direttamente a Sant’Antonio: nasce nel Medioevo in terra tedesca, quando era consuetudine che ogni villaggio allevasse un maiale da destinare all’ospedale, dove prestavano il loro servizio i monaci di Sant’Antonio.
A partire dall’XI secolo, gli abitanti delle città si lamentavano della presenza di maiali che pascolavano liberamente nelle vie e i Comuni s’incaricarono allora di vietarne la circolazione, fatta sempre salva l’integrità fisica dei suini “di proprietà degli Antoniani, che ne ricavavano cibo per i malati, balsami per le piaghe, nonché sostentamento economico. Maiali, dunque, che via via acquisiscono un’aura di sacralità e guai a chi dovesse rubarne uno, perché Antonio si sarebbe vendicato colpendo con la malattia, anziché guarirla”.
Secondo una leggenda del Veneto invece, la notte del 17 gennaio gli animali acquisiscono la facoltà di parlare. Durante questo evento i contadini si tenevano lontani dalle stalle, perché udire gli animali conversare era segno di cattivo auspicio.
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