Quando una notte la polizia fa irruzione nel suo ricovero, sequestrandole le decine di cani che accudiva, Chiara consegna alla sua amica d’infanzia, che scrive di mestiere, il grosso quaderno in cui da sempre raccoglie dati, abitudini e fotografie dei suoi beneficiati.
È un libro degli ospiti indubbiamente singolare (“Tutti i cani hanno le loro rime: Balù pensaci tu, Billo guardiano tranquillo, Banga attento alla vanga, Lisetta dolce canetta…”), ma anziché rimetterlo in ordine come Chiara vorrebbe, l’amica decide di scriverne una versione nuova.
Decide cioè di raccontare la propria vita di ex randagia spaventata, indocile, ma per fortuna anche mordace: insieme a quella degli uomini – uno soprattutto, l’infernale Edi Sereni – e delle donne che, nel tempo, hanno preteso di addomesticarla. Così ci regala il copione di una commedia nera e rosa che fa genere a sé, e che non basta leggere fino in fondo per mettere da parte.
In questo quadro gli animali domestici non si mostrano come presenze costanti, ma come tratti caratteriali dei protagonisti. E proprio come il gatto di Derrida, tutti sono osservatori di un evolversi della narrazione di fronte al quale Letizia, Chiara, Edi, Marco e gli altri, non possono far altro che reagire agli avvenimenti per capire quello che ognuno di loro è.
“Animali Domestici”, Letizia Miratori, Adelphi.
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